Search Trends? Chiedilo a Google

Google Trend (ex Google Insight) è uno strumento di Google che permette di sapere quanto spesso un particolare termine è stato cercato su Google e quali ricerche di termini sono correlate al termine/i che abbiamo scelto. Quindi potremmo dire che google trend potrebbe fornirci un indizio su cosa le persone vogliono sapere in un certo intervallo di tempo.

Per curiosità proviamo a fare una ricerca utilizzando termini tecnici – sisma e rischio sismico – e un termine proprio del linguaggio comune – terremoto -.
I risultati nei grafici mostrano in modo evidente quanto le parole tecniche (sisma e rischio sismico) siano state cercate molte meno volte di “terremoto”. Risultato non molto sorprendente, intuitivamente lo avrebbero detto tutti, ma il fatto di vedere da un lato la corrispondenza dei picchi con i terremoti Abruzzo 2009 e Emilia Romagna 2012 porta a dedurre che in caso di evento sismico le persone che fanno una ricerca su Google optano per la parola terremoto. Questo porta ad una seconda considerazione, forse meno esplicita: se utilizzo il web come strumento di comunicazione e se voglio utilizzarlo “propriamente” dovrò considerare che la searchability del mio contenuto dipende da come le persone cercano quel contenuto e quindi da come i motori di ricerca lo indicizzano. Questo non significa che la comunicazione dovrà assoggettarsi al linguaggio comune (come qualche fanatico miope del marketing sarebbe portato a fare). Non bisogna confondere tra semplice e semplificatorio, operazione che ho visto fare da alcuni rappresentanti degli orgnai di stampa in qualche titolo raccapricciante. In pratica significherà ad esempio usare le parole esatte per descrivere il fenomeno, usando anche la parola usata comunemente e agire con gli strumenti SEO per migliorare o meglio ampliare la searchability per tutte le parole chiave: rischio sismico, terremoto, sisma. So bene che questo “lavoro” da cesellatore sembra sempre noioso. Quanti di coloro che aggiornano i siti, mentre fanno mille altre cose, dimenticano, tags, descrizioni delle immagini, descrizioni dei link. Ma questo impoverisce il contenuto che stiamo immettendo nel vortice del WWW, rendendolo muto e non-ri-trovabile. Proseguendo la nostra analisi un po’ grezza attraverso Google Trend, proviamo a usare due parole più tecniche: faglie, liquefazione, rischio sismico.

Il grafico mostra una cosa semplice: che in caso di evento le persone vogliono capire, vogliono sapere qualcosa in più rispetto a quanto sappiano già. Ma, come sappiamo bene, fare una ricerca su Google comporta anche l’imbattersi in siti o articoli che possono contenere informazioni imprecise e fuorvianti. L’attendibilità, o la validità dell’informazione trovata dipende sempre dalla fonte e in questo bisogna adottare la semplice tecnica di confronto tra le fonti e conoscenza delle fonti accreditate. Orientarsi nel web richiede comunque l’impiego di una certa competenza e una certa capacità di selezione. In un periodo storico in cui sembra esserci la tendenza a un’informazione che privilegia il consumo alla riflessione, la quantità alla qualità (un’informazione “liquida”) la capacità di “pesare” la qualità dell’informazione assume un valore “pesante”.   Questo porta ad un’altra riflessione. Pubblicare nel web non significa automaticamente essere “trovati” [findability] e “cercati” [searchbility]. Al di là delle differenze che approfondiremo in un prossimo articolo, bisogna comprendere che un sito deve rispettare alcune regole come: una buona interfaccia (visual and design) con possibilità di ricerca, accesibilità, SEO (Search Engine Optimization: metakeyword, meta tag), Information architecture, content curation, link a contenuti correlati, web copywriting. In poche parole significa realizzare un sito secondo i criteri del “buon web”. Ma quanto queste pratiche siano messe in pratica dai siti che si occupano di protezione civile, inclusi i web analytics, sarebbe un’interessante ricerca da fare. In buona sostanza se un sito non rispetta la maggior parte di questi criteri non sarà né “findable” né “searchable” con il risultato di non diventare fonte di informazione ricercata e usata. Se a questo aggiungiamo un approccio “tecnico” che premia il linguaggio specialistico la distanza tra fonte accreditata e destinatario aumenterà a dismisura. La comprensione dei fenomeni naturali, la loro interpretazione dovrebbero concorrere al sense making della disaster resilience, mentre un’atteggiamento élitario del sapere e della conoscenza riduce la capacità di “attribuzione di senso”, di comprensione riducendo la capacità individuale di attivarsi in modo corretto per “cope with risk”.   In chiusura, rifletterei anche su un’altro confronto.

 

Consapevole che si tratti di un confronto approssimativo, rimane comunque il dato di una scarsa propensione a cercare la fonte “protezione civile” in caso di sisma. Il “perché” credo che sia da ricercare con un’analisi specifica per non arrivare a conclusioni inesatte o a giudizi di valore sterili.

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