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Sismicità della Penisola Italiana

Elementi generali

La Rete Sismica Nazionale Centralizzata registra più di 2000 terremoti l’anno. La rete opera con continuità dalla metà degli anni settanta ed stata ampliata in seguito al terremoto distruttivo dell’Irpinia del 1980 (Ms=6.9). Il catalogo sismico strumentale riporta circa 35.000 terremoti verificatesi in Italia a partire dal 1975. La sismicità crostale rappresenta la maggior parte dell’attività sismica registrata. Come risulta dalla mappa, la sismicità si concentra soprattutto nelle Alpi, lungo gli Appennini e riguarda la maggior parte dei vulcani attivi del Quaternario (per esempio, L’Etna, il Vesuvio, i Campi Flegrei, i Colli Albani). Inoltre si verificano sequenze anche nel promontorio del Gargano mentre la Puglia e la Sardegna sembrano essere relativamente asismiche.
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La penisola italiana è interessata anche da terremoti intermedi e profondi. Sebbene il loro numero sia relativamente esiguo, sono di grande importanza per la comprensione della dinamica dei processi profondi. Terremoti fino a 500 km di profondità avvengono nella zona del Tirreno meridionale e la loro profondità aumenta andando da Sud-Est verso Nord-Ovest. Questi eventi evidenziano la subduzione attiva della litosfera Ionica al di sotto dell’Arco Calabro. La maggior parte dell’attività è concentrata soprattutto verso i 300 km di profondità, dove i terremoti possono raggiungere anche Magnitudo 7. Un esiguo numero di terremoti di Magnitudo moderata (Effetti dei Grandi Terremoti nella Penisola Italiana

Deformazioni Cosismiche

Quando avviene un terremoto si producono deformazioni istantanee e permanenti della superficie terrestre (deformazioni cosismiche), che si diffondono su un’ area ampia alcuni km2 attorno alla struttura sismogenetica. La loro entità e tipologia dipendono dalle dimensioni e dalla geometria del piano di rottura, dal tipo di movimento relativo dei due lembi della faglia (cinematica), e dall’energia dell’evento sismico (magnitudo). Il movimento cosismico della faglia genera sollevamenti, subsidenze e spostamenti orizzontali, e genera delle scarpate quando il piano di rottura interseca la superficie topografica. La geomorfologia e geologia registrano le deformazioni, anche cumulate nel tempo, principalmente come modificazioni nell’andamento del drenaggio (i corsi d’acqua vengono attirati verso le zone in subsidenza e deviati da quelle in sollevamento), e nella geometria dei corpi sedimentari sintettonici e delle superfici create dall’erosione e dalla deposizione dei sedimenti.
Accompagnano l’evento sismico anche una serie di fenomeni indiretti dovuti allo scuotimento e all’entità della dislocazione sul piano di faglia. Essi consistono in: frane, formazione di spaccature e liquefazioni del terreno, variazioni di portata delle sorgenti, generazione di onde di maremoto (in giapponese tsunami, “onda nel porto”).

La descrizione sistematica delle deformazioni cosismiche del suolo è iniziata nel XIX secolo. Si è così verificato che esse si producono in occasione di terremoti generati sia da faglie che arrivano ad intersecare la superficie terrestre (come per il terremoto dell’Irpinia del 1980) che da faglie, dette cieche, che rompono solamente in profondità e producono in superficie solo deformazione regionale (come per il terremoto di Messina del 1908).
Il terremoto dell’Irpinia del 1980 Ms=6.9 fu chiaramente risentito in tutta l’Italia centro-meridionale, dove provocò la distruzione quasi totale di decine di paesi. La faglia sismogenetica ruppe la superficie generando una scarpata di faglia, alta tra 0.6 e 1.0 metri riconoscibile per una lunghezza totale di circa 38 km.
Il terremoto causò la subsidenza relativa della vasta area a NE della faglia, come indicato dalle misure geodediche successive all’evento. In seguito all’evento sismico, oltre alla scarpata di faglia, si aprirono molteplici fenditure nel terreno, alcune molto profonde, e si riattivarono numerose frane preesistenti, anche lontano dall’epicentro.
Il terremoto di Messina del 1908 è stato l’evento di magnitudo maggiore registrato in Italia nel corso del secolo passato; esso colpì lo Stretto di Messina producendo devastazioni sia sulla costa siciliana, che su quella calabra.

In Calabria, il terremoto ebbe effetti distruttivi in un’ ampia area comprendente i versanti del massiccio dell’Aspromonte, mentre l’area delle distruzioni complete nel messinese fu molto più ristretta. Nell’area epicentrale furono osservati frane e smottamenti e si aprirono spaccature nel suolo limitate ai terreni superficiali, ma non si formarono scarpate di faglia. Il terremoto fu seguito da un maremoto di violenza straordinaria, che accentuò i danneggiamenti in tutto lo Stretto e le cui ondate più devastanti, da 6 a 12 m di altezza, colpirono violentemente la costa orientale della Sicilia. Si registrò inoltre la subsidenza di un lungo tratto della costa calabrese, sino ad un valore massimo misurato di oltre mezzo metro.
Tratto da uno studio condotto dall’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sugli Effetti dei Grandi Terremoti sulla Superficie Terrestre.

Deformazioni permanenti causate da un terremoto

Gli effetti che un terremoto produce sulla superficie terrestre, si dividono in transienti e permanenti:

  • gli effetti transienti sono le oscillazioni che avvengono durante e immediatamente dopo il terremoto, ovvero le onde sismiche: questi vengono percepiti soltanto dai sismometri, in caso di eventi di piccola magnitudo, o da persone e strumenti, per eventi di magnitudo elevata. Sono dunque effetti che hanno inizio e fine in un intervallo di tempo limitato, la cui durata è anch’essa proporzionale alla magnitudo del terremoto. Proporzionale alla magnitudo è anche l’estensione dell’area in cui si possono registrare le oscillazioni, che va dai pochi km alle migliaia di km per i terremoti più forti. Le oscillazioni prodotte dai terremoti di Magnitudo circa maggiore di 5, vengono registrate in tutto il globo terrestre.
  • gli effetti permanenti che un terremoto produce hanno una estensione molto limitata (dell’ordine del chilometro) anche per i terremoti più forti, e variano fortemente con il tipo di frattura che ha generato il terremoto stesso, come vedremo nei tre esempi considerati nelle figure. Tali effetti consistono in uno spostamento non elastico, ovvero un punto che si muove durante l’evento sismico non torna nella sua posizione iniziale, modificando in modo permanente la sua posizione. L’entità di questo spostamento è proporzionale alla magnitudo ed è tanto maggiore quanto più la faglia è vicina alla superficie. Viene misurato in tre componenti, due sul piano orizzontale, che indicano spostamenti nelle direzioni Est-Ovest e Nord-Sud, e una verticale che descrive un innalzamento o un abbassamento.


Nelle figure le frecce sul piano inferiore indicano lo spostamento in cm sul piano orizzontale (la scala delle frecce è indicata in basso), mentre il piano superiore, a colori, indica lo spostamento verticale in cm la cui entità è descritta dalla scala di colori sulla sinistra. Le linee nere a tratto continuo, limitate dai quadratini colorati, indicano le proiezioni in superficie del lato più superficiale del piano di faglia. Le linee tratteggiate sono le proiezioni sulla superficie dei bordi laterali e del lato più profondo del piano di faglia. Insieme rappresentano dunque l’intero piano di faglia proiettato sulla superficie.
Le tre figure illustrano come si è modificato, in modo permanente, il terreno a seguito di tre diversi eventi:
  • il terremoto dell’Irpinia, 1980, in figura 1;
  • le due scosse del 26 Settembre 1997 della sequenza sismica dell’Appennino Umbro-Marchigiano, in figura 2 (la faglia più a sud è quella che ha generato l’evento delle ore 02.33, quella più a nord ha generato l’evento delle 11.40);
  • il tterremoto del Friuli, 1976, in figura 3.

Il terremoto dell’Irpinia  e quello Umbro-Marchigiano hanno in comune il fatto di essere avvenuti al di sotto della catena Appenninica di essere caratterizzati da un movimento distensivo (le frecce indicano un allontanamento dal piano di faglia).
Questo ha come effetto più evidente un abbassamento dei punti che si trovano, sulla superficie, direttamente sopra al piano di faglia, fino a -61.33 cm nel caso dell’Irpinia e -30.01 cm nel caso del più recente evento Umbro-Marchigiano.
Il fatto che lo spostamento in Irpinia sia stato circa il doppio di quello in Umbria-Marche è dovuto alla maggiore magnitudo del primo e al fatto che la faglia dell’Irpinia ha raggiunto la superficie mentre quella del terremoto Umbro-Marchigiano è a qualche km di profondità.

Il terremoto del Friuli, invece, è stato generato da un movimento sul piano di faglia opposto ai due precedenti ovvero da un movimento compressivo (le frecce convergono verso il piano di faglia). è evidente nella figura che, contrariamente ai due casi precedenti, lo spostamento maggiore è stato positivo, ovvero un innalzamento, fino ad un massimo di 25.86 cm (.
E’ importante sottolineare che i danni che avvengono a seguito dei terremoti non sono causati direttamente dagli effetti permanenti appena descritti ma da quelli transienti, ovvero dalle oscillazioni provocate dal passaggio delle onde sismiche. Sono però gli effetti permanenti che modificano il paesaggio contribuendo a formare le morfologie che osserviamo.